giovedì 18 aprile 2024

VERBANIA - BARCELLONA - Solo

1° giorno, 23 marzo - Ore 5 e 40, sono a casa, tutti dormono. Ho raddoppiato la porzione di porridge del mattino, si fa fatica a mangiare più di un etto e mezzo di avena a quest'ora. Lo mando giù con un pò di sforzo, ma in realtà la mia testa è altrove. Guardo la bici davanti a me appoggiata al divano, elegante anche se in versione "bikepacking", con le 3 borse principali pronte e chiuse. La mia testa va ad analizzare tutto quello che contengono, con quel misto di tensione e paura nell'aver dimenticato qualcosa di cui potrei pentirmi amaramente.

Siamo alla fine di marzo, dopo 10 giorni caldissimi il meteo sta cambiando e le previsioni danno un colpo di coda invernale, abbassamento delle temperature e meteo incerto.
Ma ormai non si può fare altro, i voli sono prenotati. Devo essere a Barcellona per il 27 marzo.
La Catalunya è lontana da Verbania, lontanissima, ma durante questa colazione non riesco a pensarci: "giacca, guanti, copriscarpe, le termiche, barrette, gel energetici, liquido lenti, pompa, camere, multitool....". E' un continuo ripassare velocemente il contenuto delle borse, ripeterlo a memoria come un mantra. Sono giorni che lo faccio.
Scendo in ascensore con la bici e mi guardo allo specchio. La mia immagine mi rassicura, il vedermi così attrezzato, ben vestito, ben equipaggiato mi tranquillizza. Garage: indosso le scarpe, gonfio per l'ultima volta i pneumatici con una pompa decente, mi chiudo il portone alle spalle, ed esco dalla rampa.


Sulla strada mi volto a guardare il garage per un attimo, rigiro lo sguardo verso l'asfalto e con un vuoto allo stomaco do il primo colpo di pedale. Mi lascio la casa dietro di me.
La bici scorre, è pesante ma fila via veloce. Ho paura. Il primo chilometro lo passo in uno stato di semincoscienza, mille pensieri velocissimi mi attraversano il cervello come lampi, da parte a parte. Immagini di strade lunghissime e pianeggianti. Mi vedo da fuori, in cima al Monginevro, poi in Camargue, "e se non ci arriverò mai in Camargue?", poi un albergo immaginario e la mia bici appoggiata ad una cassettiera di fronte al letto, poi ancora strade di campagna,  incroci trafficati di città, forse Torino. Forse immagino città che non so neanche di dover attraversare. Flash immaginifici creati dall'aspettativa, dalla preoccupazione, dalla paura e dall'eccitazione. Qualche minuto così. Una raffica continua di quello che sarà, di come potrà essere. Poi il sangue comincia a fluire in tutti i muscoli, mi scaldo, il ritmo della pedalata si fa amico, conosciuto, rassicurante. Sarà il mio compagno per 4 o 5 giorni.
Guardo le ginocchia salire e scendere, ritmiche, forti, cadenzate, mi danno sicurezza, mi tranquillizzano.
Gravellona, Omegna, Gozzano, Piano Rosa e Romagnano, passo il Sesia e il paesaggio cambia.

Pianura: Gattinara, Rovasenda, mi chiudo in una sorta di bolla, i chilometri passano e non me ne accorgo, non li guardo, o almeno ci provo. Il Garmin suona ogni 30 minuti per ricordarmi di bere, ogni 60 per ricordarmi di mangiare. Rispetto gli allarmi, sarà il mio "lavoro" per poter arrivare in Spagna. Per provarci almeno.

Santhià, la media è buona, 33, sempre sotto i 200watt, mai sopra i 130 battiti. Una deviazione di 5/6km per un ponte chiuso sulla Dora, e poi Chivasso, Brandizzo, Settimo, poi Torino, 5 ore. A Torino non mi fermo, 30 minuti per attraversarla, una marea di rossi bruciati in ogni modo, fermarmi e ripartire mi costa fatica con le borse.

La Val di Susa mi aspetta e io sono contento, mi lascio della tensione alla spalle fuori dalla città, è presto, sto bene e sono messo bene. Dura poco, l'acceso alla Val di Susa è un triste rallentare sotto lo sferzare del vento, bandiere tese nella direzione che mai vorrei vedere, raffiche irregolari mi fanno sbandare e le velocità precipitano a 18/20 all'ora.
Cerco di stare calmo ma sono preoccupato, mi conosco bene, vado in ansia in queste situazioni. Faccio fatica a gestire contesti non previsti, che sono fuori dal mio controllo. Li affronto, li ho affrontati certo, ma lo faccio sempre in modo troppo energico, con irruenza, con foga, con la preoccupazione di non arrivare dove avrei dovuto, spingendo oltre il limite consigliato, con il rischio concreto di bruciare le energie inutilmente e saltare per aria.
Allora respiro e mi ripeto che o rimango calmo e affronto il vento con rassegnazione o il mio viaggio va a fareinculo già al primo giorno. Respiro profondo, calo il ritmo e mi adeguo alla velocità che posso tenere, mi concentro solo sui battiti, "non più di 140" "sotto 140" me lo ripeto in continuazione a voce alta.
Penso che in quei chilometri in Val di Susa io abbia imparato moltissimo su alcuni miei approcci psicologici sbagliati. L'esserne uscito senza crisi ed essere arrivato a Cesana come da programma è stato un bel insegnamento.


La salita da Susa al piano di Salbeltrand è massacrante, le gallerie che percorro sembrano dei camini enormi da cui il vento scende velocissimo e io salgo a 7 / 8 all'ora, con la bici pesante e il vento che spinge sempre in giù.
Ma Cesana è lì e ci arrivo dopo 8 ore e 40 effettive, 236 km e 2000+.
La sera mangio etti di pasta e birra, vado in farmacia a prendere degli Oki che terrò per emergenza e una pomata per le articolazioni, sento dei piccoli dolori che non mi piacciono molto....
Sono ospite in un appartamento che mia cugina mi ha lasciato, faccio spesa per la colazione, sempre avena, latte e nutella. La notte dormo male, sono agitato.

2° giorno, 24 marzo - Non posso pesare il porridge ma ne mangio tantissimo per non sbagliare, mi vesto con tutto l'abbigliamento invernale che ho, le borse sono quasi vuote, esco e ci sono -3°.
Parto alle 6.30 in una Cesana deserta e paralizzata dal gelo. Mi scaldo sulle prime rampe del Monginevro, lo conosco questo passo, l'ho già fatto con Mattia. Questo viaggio l'ho voluto fortemente fare da solo, ma in questo momento mi piacerebbe avere lui come compagno d'avventura. Invece sono solo, alle 6.40, in una galleria buia, verso il passo, a  -5°. Dentro alle pochissime macchine che incrocio vedo gente che mi incita, mi strombazza allegramente con il clacson, alcuni, guardandomi, sbattono nell'aria calda dell'abitacolo il pugno. Mi caricano queste cose, ma da un lato mi fanno capire che devo proprio far tenerezza in quella situazione, con queste borse, a questa temperatura, a quest'ora, a 1800mt.

Scollino al Monginevro nella solitudine completa, solo un runner passa a bordo strada, non ci caghiamo, silenzio. Indosso 3 paia di guanti: i leggeri, i medi e quelli pesanti sopra. Entrano a fatica, ma scendere fino a Briancon con -6° non è uno scherzo.


La discesa va via veloce, il freddo mi blocca, non riesco a guidare bene e scendo piano, temperatura a fondovalle -1º, sarà così fino alle vicinanze di Gap. Non mi sento bene, sono debole, non ho voglia di pedalare, ho nausea, forse non ho digerito, sono giù di morale. Mi fermo in un prato, chiamo casa per cercare conforto, vorrei mollare. Mi cambio al primo sole che esce da dietro le cime, riparto e mi sembra di stare meglio. Attraverso il lago di Serre Poncon, ma sto puntando a nord ovest ed il vento ricomincia a spingermi indietro.


Le pendenze in negativo me le devo comunque pedalare tutte con forza ed in piano faccio fatica a stare a 30orari, si continua così per almeno 3 ore, fino ai 150 km. A quel punto devo decidere se salire su una zona montuosa nell'area del Mont Ventoux e con 100km di su e giù arriverei nei pressi di Avignone, ma il vento mi ha sfiancato e ho paura ad infilarmi in montagna. Cambio quindi il programma e resto sul fondovalle, che però mi farà percorrere 50km in più del previsto, rimanendo indietro di una 30ina di km rispetto ad Avignone.


Non saprò mai se questo cambio di programma sia stata una buona scelta, ma sono sicuro che mi ha fatto passare nel posto più bello che abbia visto da molto tempo: Sisteron. All'improvviso in un fondovalle bello ma abbastanza banale, compare una meraviglia della natura, un contesto straordinario, da togliere il fiato. Talmente bello da sembrare finto.
Ma poi il resto del percorso verso la Provenza è psicologicamente devastante, sopra i 200km crollo ed è  un continuo lottare con me stesso. Non entro nei dettagli ma è stato il momento peggiore del viaggio.
Arrivo ad Aix en Provence alle 18, sfinito, 260km in quasi 9 ore, 2000+ a 30 di media. É tardi, faccio la spesa, prenoto un appartamento e mi ci fiondo dentro. Tre pizze surgelate, birre, avena, latte e nutella per la colazione. Mangio e dormo.


3° giorno, 25 marzo - Raccolgo avena, nutella e mela a cubetti da una pentola grossa, alle 6 del mattino. Mi ricorda l'infanzia, non proprio un ricordo positivo, ho in mente il mangiare delle galline che mio zio portava nel pollaio dentro a pentole molto simili a questa. Anche il pastone era molto simile a quello che ho ora in bocca...

Lascio Aix en Provence con 4° e mi preparo per una tappa da 240km circa, completamente pianeggiante. Arrivo alle 9 nella splendida Arles, vado all'Arena, attraverso veloce gli stretti vicoli e la lascio con malinconia, mi sarebbe piaciuto rivisitarla con calma.

Devo dirigermi verso le paludi della Camargue, e poco dopo eccomi lì. Io, le mie borse e la mia Orbea a tagliare in due distese infinite di canneti, di fango e acqua. Mi accompagnano a bordo strada cavalli bianchi e fenicotteri rosa. Attraverso paesaggi e paesi magnifici e ne rimango incantato. Mi fermo ad Aigues Mortes a mangiare una pizza, mi sposto lentamente dentro alle sue mura ben tenute ed affascinanti, è uno dei paesi più belli attraversati in questo viaggio. Riposo mezz'ora circa e poi riparto, mi mancano ancora 100km dei 220 previsti oggi.




La seconda parte del viaggio scorre tutta in riva al mare, fortunatamente c'è un vento a raffiche trasversale da SudEst, mi fa sbandare spesso, ma mi spinge leggermente verso la mia meta.
Il cielo però è grigio e nel finale di questa tappa inizia a piovere.
225km in 7ore e 20 a 31 di media. Sono a Bèziers, quasi sdraiato davanti ad un vetrina chiusa di un negozio, sotto ad un porticato sporco con dei ragazzini a fianco che guardano il cellulare, l'aria sa di pioggia e io sono al riparo a cercare un hotel per la notte.

La sera non ho voglia di uscire, piove e sono stanco, ordino un Deliveroo e mangio in camera.

4° giorno, 26 marzo - Mi alzo e guardo fuori: diluvia, acqua di traverso. Vedo le antenne sui tetti flettersi sotto le frustate del vento che arriva dal mare. Morale a terra. Era prevista pioggia per oggi, ma non credevo così forte e con questo vento tempestoso. Non so cosa fare, controllo il check-out e ho tempo fino alle 11.00, dopodiché sarò fuori in strada, con la mia bici e la pioggia battente.
Prendo tempo, vado a far colazione e comincio in maniera ossessiva a controllare le previsioni. Di lì a poco è prevista una diminuzione della pioggia per 2ore ma spostandomi verso ovest questa finestra diventa di 3 ore.
O la va o la spacca! Mi vesto al volo, faccio quei pochi bagagli che ho e in 20 minuti sono in strada. Piove meno, a tratti smette, ma il vento persiste. Parto e provo a raggiungere Narbone, è un delirio, il vento è a favore, vado a 33 fisso, ma le raffiche arrivano di taglio da sinistra a destra e rischio non so quante volte di andare nella cunetta, la bici con le borse sembra una barca a vela.

Come se non bastasse in senso opposto ogni tanto arrivano dei trasporti eccezionali, dei camion che trasportano una casa prefabbricata enorme, ne passano almeno 6 in tempi diversi, vanno forte e muovono una massa d'aria assurda. Ad ogni passaggio mi arrivano degli schiaffi violentissimi ed irregolari che mi fanno sbandare pericolosamente per qualche secondo.
Raggiungo Narbone sotto una pioggia battente, mi riparo in un sottopassaggio e poi riparto, il garmin non funziona. Deve essere entrata dell'acqua tra la protezione dello schermo e lo schermo stesso, è come se qualcuno toccasse a caso i comandi e ad un certo punto salva l'attività, non riuscirò più a farlo ripartire in quella giornata. Continuo per 1 ora ancora sotto l'acqua, sono fradicio, ma poco dopo i 60km smette di piovere e arrivo in una Perpignan quasi asciutta. Stop. 90km in 3 ore.
Decido di fermarmi in un hotel anche se sono le 12.30, prendo una stanza e mi scaldo sotto la doccia.


Passo il pomeriggio lavando ed asciugando i vestiti in una lavanderia a gettoni con gente poco raccomandabile, mangio kebab e riposo in camera.

Giro stanco per Perpignan in un pomeriggio grigio. Ma il morale è altissimo, il meteo per domani è ottimo e da qui mancano "soltanto" 200km per raggiungere Barcellona.
Sono felice, motivato e mi godo quelle poche ore di riposo.
La sera provo ad uscire a cena ma diluvia ancora, ripiego su un altro Deliveroo e rimango al caldo.

5° giorno, 27 marzo - L'hotel apre le colazioni alle 6.00. Alle 6.05 sto già mangiando, cosa? dell'avena! ma mi concedo anche qualche brioches e dello yogurt.
6 e 30, sono sulle strade ancora bagnate di una Perpignan fredda, 4°,  ma il cielo sopra di me è azzurro e una luna piena magnifica fa ancora capolino all'orizzonte, proprio al centro dei vialoni deserti che sto percorrendo.


Fuori da Perpignan sono su una statale larga e pianeggiante che mi porta verso quello che rimane dei Pirenei in quella zona. Mi bastano 30km e 250mt di dislivello per raggiungere il confine Spagnolo. In questo tratto, alla mia destra, vedo le prime cime Pirenaiche completamente imbiancate da neve fresca. La luna, che prima era davanti a me, ora va a cadere lentamente proprio dietro a quelle cime del suo stesso colore. Magia.

Le gambe girano bene, spingo, la salita al confine è dolce e non scendo mai sotto 20km/h.
ESPAÑA. Guardo la mia bici appoggiata al quell'enorme cartello. Vivo solo ora una sensazione molto strana, è come se quel cartello mi avesse risvegliato dalla concentrazione che ho dovuto tenere finora. Solo ora mi accorgo che sono veramente lontano da casa, mi sono spinto davvero molto in là. Quel cartello blu con le stelline mi da la conferma di aver fatto comunque una gran cosa. Esser lì e svalicare in Spagna sapendo di esser partito dalla piccola Trobaso neanche 5 giorni prima, mi fa tremare le gambe e mi riempie di orgoglio allo stesso tempo.


Dal confine ci sono 60km per arrivare a Girona, alle 10.00 l'attraverso, mi permetto un giro per le vie del centro e mi concedo un toast e una spremuta. Riparto per gli ultimi 100km, ma non posso di certo farmi mancare "il nostro vento quotidiano", lasciata Girona alle spalle le bandiere che incontro tornano a tirare verso la mia ruota posteriore, tese e vibranti.

Ma ormai me ne sbatto il cazzo, ci sono abituato, ce l'ho nello orecchie anche alla sera questo vento di merda, ci convivo da 5 giorni e allora spingo, spingo forte. Sotto i 100km alla fine entra in gioco la fame e la voglia di arrivare, il vento rompe il cazzo certo, ma in questo momento porta l'odore del mare e ne sono felice.



Ammetto che l'entusiasmo della vicinanza alla meta dura una 50ina di km, gli ultimi 30 - 40 sono come al solito infiniti. A volte la testa ti dice che manca un soffio, ma un chilometro dopo gli stessi neuroni ti dicono che non è cosi e sai che quell'ora sarà lunghissima...

Con questa alternanza psicologica ci gioco ormai da 5 giorni, la conosco, ma ad ogni Down è comunque durissima tenere duro e andare avanti, si è sempre soli e non c'è nessuno con cui confrontarsi. La solitudine è la situazione che ho cercato, è quello che mi piace fare in questo momento, sfidare me stesso per ore e giorni, ma ammetto che a volte è davvero dura. Cerco conforto in qualche coccodrillino Haribo, senza neanche fermarmi cerco nel pacchetto quelli blu per esser più felice, ma non bastano...

Passano a fatica questi chilometri, ma in qualche modo passano, vedo la città da lontano. A Barcellona ci si arriva da un altopiano, quindi l'avvicinamento è in leggera discesa. Vengo improvvisamente superato da 5 ragazzotti spagnoli che stanno rientrando in città dopo il loro allenamento, mi passano a 40 orari, allora accelero e mi metto in scia, mi sembra un sogno! Sono le prime ruote che trovo in 1000km, la sensazione dell'aria rotta in scia è come una benedizione, sento quel tipico fruscio interrotto e frastagliato, quell'aria che sbatte debole ed indecisa nelle orecchie. Non sono più solo io a dover rompere l'aria davanti a me, ora vengo risucchiato da questo inaspettato compagno di cui non so nulla, ma che come regalo finale mi porta con se in città. Tento di dare anche un cambio, ma lo stesso ragazzo con un gesto della mano mi riporta dietro di se guardando le mie borse, come a dire: "ma stai dietro tranquillo...". Mi chiedono da dove arrivo e cominciamo a parlare un pò dei nostri passi alpini preferiti e dei giri in programma per questa estate.
Città. Vialoni e ciclabili stupende anche se sono ancora a 8km dal centro vero e proprio.
Saluto i ragazzi e mi dirigo verso il mare, voglio godermi Barceloneta e le sue spiagge, voglio vedere il mare che non vedo dalla Camargue. Il vento sferza sulle passeggiate colorate del lungomare, mi arriva sulle gambe della sabbia portata da raffiche ancora importanti. Mi divincolo nel traffico e poco dopo la mia bici scorre fluida e silenziosa verso il centro della rotonda, dove svetta Colombo che punta la mano verso Ovest. Mi fermo, schiaccio STOP sul Garmin, sgranchisco la schiena guardando in alto verso la colonna e respiro a fondo.
Sono le 15.30 e c'è una luce bellissima.


Sono a Barcellona, ci sono arrivato da solo, in bici.

1010 Km, 4 giorni e mezzo, 6300mt di dislivello, 29.5 di media in 35 ore effettive.


E' stato un viaggio che mi rimarrà dentro per sempre. Mai mi ero spinto ad immaginare, programmare e mettere in pratica un'esperienza in bikepacking con chilometraggi così importanti. E' stato un azzardo certo, ma l'ho portato a termine. Sono sicuro che ci saranno altri viaggi in bici, più corti, più lunghi, con più dislivello, in compagnia o di nuovo solo con me stesso. Ma questo viaggio sono sicuro che rimarrà nella memoria come l'esperienza che mi ha aperto le porte ad una dimensione diversa, che ha sbloccato un livello superiore, che mi ha dato una consapevolezza delle mie possibilità che non avevo prima. Un viaggio che mi ha insegnato un sacco di cose, non solo pratiche, ma anche e soprattutto comportamentali.

Mille chilometri in cui sono cresciuto e cambiato. Mille chilometri che non basta un blog per descriverli, che non basta un video e qualche foto per spiegarli, che non bastano le parole per condividerli. Bisogna viverli tutti, uno per uno, uno dopo l'altro.










1 commento:

  1. Grande impresa ma soprattutto raccontata benissimo ci hai trasmesso le tue emozioni e la tua fatica, sembra di essere lì con te.
    BRAVO BRAVO BRAVO

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