sabato 19 novembre 2011

UN ALTRO STOP

Eccomi qua, il culo mi fa male ma non per troppe ore in sella e per fortuna neanche per l'altro motivo.... la schiena è dolorante non per lo zaino troppo pesante. Sono stanco ma non per un ascesa lunga e massacrante. Ho un taglio all'addome, chiuso con 8 graffette metalliche...   mi hanno operato di appendicite...  a 35 anni...
Due chirurghi operano un maiale, immagine simpatica se non fosse esposta sulla
porta della sala chirurgica del pronto soccorso di Verbania...  quanta delicatezza...

sono 4 giorni che sono a letto, senza bere e senza mangiare, una flebo da 2 litri mi alimenta e mi disseta, sarà la terza o quarta che consumo, scende lenta accompagnata dal rumore del dosatore elettrico che per forza di cose campeggia ad altezza orecchio, un rumore continuo e trapanante: zzzzzzum cric cric, zzzzzzzum cric cric... sempre, da quando sono entrato, senza un minuto di pausa!!!
Ho sempre considerato l'appendicite come una patologia ed un'operazione di poco conto, una cosa da adolescenti, soprattutto pensavo che con il passare del tempo e con l'evolversi della medicina e della chirurgia, operazione e degenza avrebbero coperto qualche giorno, al massimo 2. E' invece il 4° giorno che sono qui e non ce la faccio più.
La parte operata mi duole, ma quello che mi fa più male è stare fermo, l'immobilità mi uccide, la monotonia mi azzera. Sono stato molte volte fermo, "qualche" infortunio l'ho avuto.

...alcuni...

Ogni volta che mi succede, ad ogni stop che mi ha bloccato mi sono sempre preparato psicologicamente ripetendomi dalle battute iniziali, dopo aver smaltito il dolore e la rabbia dell'immediato post trauma, che la sosta servirà per ritornare ancora più carico di prima a fare quello che amo. Mi convinco e ci credo che l'infortunio ci sta, fa parte del gioco. Penso che in quei momenti il destino abbia voluto farmi capire, non che quello sport è pericoloso e non fa per me, ma  che quello che faccio è bellissimo, è la cosa migliore al mondo, ma se entra a far parte della routine perde di significato. La bici, lo snowboard, ma anche una semplice corsa o camminata, l'outdoor in genere, sono quanto di più bello e vivo un uomo possa fare, ed è possibile farlo sempre, in ogni momento, quando si vuole. Lo stop mi fa capire quanto è magnifico ogni singolo giro di ruota, quanto può essere intenso e magico ogni "cric" che l'attacco della tavola emette quando chiudi gli scarponi e hai davanti una discesa in powder e degli amici al fianco.
Sciocchezze, sfumature, piccoli gesti che l'abbuffata di sport quasi quotidiana mi annebbia, gesti e sensazioni che diventano consuetudine.


Da qua invece cambia tutto. L'immobilità, il silenzio, il chiuso, già dopo poche ore percepisco di cosa ho bisogno, tutte quelle piccole cose, i piccoli gesti e riti che fanno parte delle mie passioni emergono prepotenti nella memoria, guardo fuori come un bestia in gabbia, vedo il Mottarone e riconosco ogni zona e la colloco idealmente vicino al sentiero che l'attraversa, cerco di ricordare le curve, il flow,  le caratteristiche e i colori dell'ultima volta che l'ho percorso. Mi trovo ad accarezzare con lo sguardo il profilo della montagna e ad immaginarmici sopra, dentro. Ma poi batto le ciglia e son qua, dietro un vetro, nella stasi di quest'aria calda e malsana.
Ormai sto abbastanza bene e il dolore sta lentamente passando,ma si ostinano a non mandarmi a casa, quello che non capiscono questi dottori è che gente come me, anche solo un ora in più fuori da qui  la farebbe rinascere e rimettere in sesto più di ogni antibiotico e antidolorifico.
Anche solo una camminata nell'aria frizzante di novembre, anche solo sentire un pò di vento in faccia e vedere gli alberi muoversi. Anche solo quello....
Domani dovrei essere a casa. Domani inizia la consueta ed importante sfida con i dottori e con se stessi:
Anticipare il più possibile i tempi di recupero...  :-) :-)

Nessun commento:

Posta un commento