La bici scorre, è pesante ma fila via veloce. Ho paura. Il primo chilometro lo passo in uno stato di semincoscienza, mille pensieri velocissimi mi attraversano il cervello come lampi, da parte a parte. Immagini di strade lunghissime e pianeggianti. Mi vedo da fuori, in cima al Monginevro, poi in Camargue, "e se non ci arriverò mai in Camargue?", poi un albergo immaginario e la mia bici appoggiata ad una cassettiera di fronte al letto, poi ancora strade di campagna, incroci trafficati di città, forse Torino. Forse immagino città che non so neanche di dover attraversare. Flash immaginifici creati dall'aspettativa, dalla preoccupazione, dalla paura e dall'eccitazione. Qualche minuto così. Una raffica continua di quello che sarà, di come potrà essere. Poi il sangue comincia a fluire in tutti i muscoli, mi scaldo, il ritmo della pedalata si fa amico, conosciuto, rassicurante. Sarà il mio compagno per 4 o 5 giorni.
Pianura: Gattinara, Rovasenda, mi chiudo in una sorta di bolla, i chilometri passano e non me ne accorgo, non li guardo, o almeno ci provo. Il Garmin suona ogni 30 minuti per ricordarmi di bere, ogni 60 per ricordarmi di mangiare. Rispetto gli allarmi, sarà il mio "lavoro" per poter arrivare in Spagna. Per provarci almeno.
Santhià, la media è buona, 33, sempre sotto i 200watt, mai sopra i 130 battiti. Una deviazione di 5/6km per un ponte chiuso sulla Dora, e poi Chivasso, Brandizzo, Settimo, poi Torino, 5 ore. A Torino non mi fermo, 30 minuti per attraversarla, una marea di rossi bruciati in ogni modo, fermarmi e ripartire mi costa fatica con le borse.La Val di Susa mi aspetta e io sono contento, mi lascio della tensione alla spalle fuori dalla città, è presto, sto bene e sono messo bene. Dura poco, l'acceso alla Val di Susa è un triste rallentare sotto lo sferzare del vento, bandiere tese nella direzione che mai vorrei vedere, raffiche irregolari mi fanno sbandare e le velocità precipitano a 18/20 all'ora.
Cerco di stare calmo ma sono preoccupato, mi conosco bene, vado in ansia in queste situazioni. Faccio fatica a gestire contesti non previsti, che sono fuori dal mio controllo. Li affronto, li ho affrontati certo, ma lo faccio sempre in modo troppo energico, con irruenza, con foga, con la preoccupazione di non arrivare dove avrei dovuto, spingendo oltre il limite consigliato, con il rischio concreto di bruciare le energie inutilmente e saltare per aria.
Allora respiro e mi ripeto che o rimango calmo e affronto il vento con rassegnazione o il mio viaggio va a fareinculo già al primo giorno. Respiro profondo, calo il ritmo e mi adeguo alla velocità che posso tenere, mi concentro solo sui battiti, "non più di 140" "sotto 140" me lo ripeto in continuazione a voce alta.
Penso che in quei chilometri in Val di Susa io abbia imparato moltissimo su alcuni miei approcci psicologici sbagliati. L'esserne uscito senza crisi ed essere arrivato a Cesana come da programma è stato un bel insegnamento.
La salita da Susa al piano di Salbeltrand è massacrante, le gallerie che percorro sembrano dei camini enormi da cui il vento scende velocissimo e io salgo a 7 / 8 all'ora, con la bici pesante e il vento che spinge sempre in giù.
Ma Cesana è lì e ci arrivo dopo 8 ore e 40 effettive, 236 km e 2000+.
La sera mangio etti di pasta e birra, vado in farmacia a prendere degli Oki che terrò per emergenza e una pomata per le articolazioni, sento dei piccoli dolori che non mi piacciono molto....
Sono ospite in un appartamento che mia cugina mi ha lasciato, faccio spesa per la colazione, sempre avena, latte e nutella. La notte dormo male, sono agitato.
2° giorno, 24 marzo - Non posso pesare il porridge ma ne mangio tantissimo per non sbagliare, mi vesto con tutto l'abbigliamento invernale che ho, le borse sono quasi vuote, esco e ci sono -3°.
Parto alle 6.30 in una Cesana deserta e paralizzata dal gelo. Mi scaldo sulle prime rampe del Monginevro, lo conosco questo passo, l'ho già fatto con Mattia. Questo viaggio l'ho voluto fortemente fare da solo, ma in questo momento mi piacerebbe avere lui come compagno d'avventura. Invece sono solo, alle 6.40, in una galleria buia, verso il passo, a -5°. Dentro alle pochissime macchine che incrocio vedo gente che mi incita, mi strombazza allegramente con il clacson, alcuni, guardandomi, sbattono nell'aria calda dell'abitacolo il pugno. Mi caricano queste cose, ma da un lato mi fanno capire che devo proprio far tenerezza in quella situazione, con queste borse, a questa temperatura, a quest'ora, a 1800mt.
La discesa va via veloce, il freddo mi blocca, non riesco a guidare bene e scendo piano, temperatura a fondovalle -1º, sarà così fino alle vicinanze di Gap. Non mi sento bene, sono debole, non ho voglia di pedalare, ho nausea, forse non ho digerito, sono giù di morale. Mi fermo in un prato, chiamo casa per cercare conforto, vorrei mollare. Mi cambio al primo sole che esce da dietro le cime, riparto e mi sembra di stare meglio. Attraverso il lago di Serre Poncon, ma sto puntando a nord ovest ed il vento ricomincia a spingermi indietro.
Le pendenze in negativo me le devo comunque pedalare tutte con forza ed in piano faccio fatica a stare a 30orari, si continua così per almeno 3 ore, fino ai 150 km. A quel punto devo decidere se salire su una zona montuosa nell'area del Mont Ventoux e con 100km di su e giù arriverei nei pressi di Avignone, ma il vento mi ha sfiancato e ho paura ad infilarmi in montagna. Cambio quindi il programma e resto sul fondovalle, che però mi farà percorrere 50km in più del previsto, rimanendo indietro di una 30ina di km rispetto ad Avignone.
Non saprò mai se questo cambio di programma sia stata una buona scelta, ma sono sicuro che mi ha fatto passare nel posto più bello che abbia visto da molto tempo: Sisteron. All'improvviso in un fondovalle bello ma abbastanza banale, compare una meraviglia della natura, un contesto straordinario, da togliere il fiato. Talmente bello da sembrare finto.
Ma poi il resto del percorso verso la Provenza è psicologicamente devastante, sopra i 200km crollo ed è un continuo lottare con me stesso. Non entro nei dettagli ma è stato il momento peggiore del viaggio.Arrivo ad Aix en Provence alle 18, sfinito, 260km in quasi 9 ore, 2000+ a 30 di media. É tardi, faccio la spesa, prenoto un appartamento e mi ci fiondo dentro. Tre pizze surgelate, birre, avena, latte e nutella per la colazione. Mangio e dormo.
Devo dirigermi verso le paludi della Camargue, e poco dopo eccomi lì. Io, le mie borse e la mia Orbea a tagliare in due distese infinite di canneti, di fango e acqua. Mi accompagnano a bordo strada cavalli bianchi e fenicotteri rosa. Attraverso paesaggi e paesi magnifici e ne rimango incantato. Mi fermo ad Aigues Mortes a mangiare una pizza, mi sposto lentamente dentro alle sue mura ben tenute ed affascinanti, è uno dei paesi più belli attraversati in questo viaggio. Riposo mezz'ora circa e poi riparto, mi mancano ancora 100km dei 220 previsti oggi.
La seconda parte del viaggio scorre tutta in riva al mare, fortunatamente c'è un vento a raffiche trasversale da SudEst, mi fa sbandare spesso, ma mi spinge leggermente verso la mia meta.
Il cielo però è grigio e nel finale di questa tappa inizia a piovere.
225km in 7ore e 20 a 31 di media. Sono a Bèziers, quasi sdraiato davanti ad un vetrina chiusa di un negozio, sotto ad un porticato sporco con dei ragazzini a fianco che guardano il cellulare, l'aria sa di pioggia e io sono al riparo a cercare un hotel per la notte.
La sera non ho voglia di uscire, piove e sono stanco, ordino un Deliveroo e mangio in camera.
4° giorno, 26 marzo - Mi alzo e guardo fuori: diluvia, acqua di traverso. Vedo le antenne sui tetti flettersi sotto le frustate del vento che arriva dal mare. Morale a terra. Era prevista pioggia per oggi, ma non credevo così forte e con questo vento tempestoso. Non so cosa fare, controllo il check-out e ho tempo fino alle 11.00, dopodiché sarò fuori in strada, con la mia bici e la pioggia battente.
Prendo tempo, vado a far colazione e comincio in maniera ossessiva a controllare le previsioni. Di lì a poco è prevista una diminuzione della pioggia per 2ore ma spostandomi verso ovest questa finestra diventa di 3 ore.
O la va o la spacca! Mi vesto al volo, faccio quei pochi bagagli che ho e in 20 minuti sono in strada. Piove meno, a tratti smette, ma il vento persiste. Parto e provo a raggiungere Narbone, è un delirio, il vento è a favore, vado a 33 fisso, ma le raffiche arrivano di taglio da sinistra a destra e rischio non so quante volte di andare nella cunetta, la bici con le borse sembra una barca a vela.
Come se non bastasse in senso opposto ogni tanto arrivano dei trasporti eccezionali, dei camion che trasportano una casa prefabbricata enorme, ne passano almeno 6 in tempi diversi, vanno forte e muovono una massa d'aria assurda. Ad ogni passaggio mi arrivano degli schiaffi violentissimi ed irregolari che mi fanno sbandare pericolosamente per qualche secondo.
Raggiungo Narbone sotto una pioggia battente, mi riparo in un sottopassaggio e poi riparto, il garmin non funziona. Deve essere entrata dell'acqua tra la protezione dello schermo e lo schermo stesso, è come se qualcuno toccasse a caso i comandi e ad un certo punto salva l'attività, non riuscirò più a farlo ripartire in quella giornata. Continuo per 1 ora ancora sotto l'acqua, sono fradicio, ma poco dopo i 60km smette di piovere e arrivo in una Perpignan quasi asciutta. Stop. 90km in 3 ore.
Decido di fermarmi in un hotel anche se sono le 12.30, prendo una stanza e mi scaldo sotto la doccia.
Passo il pomeriggio lavando ed asciugando i vestiti in una lavanderia a gettoni con gente poco raccomandabile, mangio kebab e riposo in camera.
Giro stanco per Perpignan in un pomeriggio grigio. Ma il morale è altissimo, il meteo per domani è ottimo e da qui mancano "soltanto" 200km per raggiungere Barcellona.
Sono felice, motivato e mi godo quelle poche ore di riposo.
La sera provo ad uscire a cena ma diluvia ancora, ripiego su un altro Deliveroo e rimango al caldo.
5° giorno, 27 marzo - L'hotel apre le colazioni alle 6.00. Alle 6.05 sto già mangiando, cosa? dell'avena! ma mi concedo anche qualche brioches e dello yogurt.
6 e 30, sono sulle strade ancora bagnate di una Perpignan fredda, 4°, ma il cielo sopra di me è azzurro e una luna piena magnifica fa ancora capolino all'orizzonte, proprio al centro dei vialoni deserti che sto percorrendo.
Ma ormai me ne sbatto il cazzo, ci sono abituato, ce l'ho nello orecchie anche alla sera questo vento di merda, ci convivo da 5 giorni e allora spingo, spingo forte. Sotto i 100km alla fine entra in gioco la fame e la voglia di arrivare, il vento rompe il cazzo certo, ma in questo momento porta l'odore del mare e ne sono felice.
Ammetto che l'entusiasmo della vicinanza alla meta dura una 50ina di km, gli ultimi 30 - 40 sono come al solito infiniti. A volte la testa ti dice che manca un soffio, ma un chilometro dopo gli stessi neuroni ti dicono che non è cosi e sai che quell'ora sarà lunghissima...
Con questa alternanza psicologica ci gioco ormai da 5 giorni, la conosco, ma ad ogni Down è comunque durissima tenere duro e andare avanti, si è sempre soli e non c'è nessuno con cui confrontarsi. La solitudine è la situazione che ho cercato, è quello che mi piace fare in questo momento, sfidare me stesso per ore e giorni, ma ammetto che a volte è davvero dura. Cerco conforto in qualche coccodrillino Haribo, senza neanche fermarmi cerco nel pacchetto quelli blu per esser più felice, ma non bastano...Passano a fatica questi chilometri, ma in qualche modo passano, vedo la città da lontano. A Barcellona ci si arriva da un altopiano, quindi l'avvicinamento è in leggera discesa. Vengo improvvisamente superato da 5 ragazzotti spagnoli che stanno rientrando in città dopo il loro allenamento, mi passano a 40 orari, allora accelero e mi metto in scia, mi sembra un sogno! Sono le prime ruote che trovo in 1000km, la sensazione dell'aria rotta in scia è come una benedizione, sento quel tipico fruscio interrotto e frastagliato, quell'aria che sbatte debole ed indecisa nelle orecchie. Non sono più solo io a dover rompere l'aria davanti a me, ora vengo risucchiato da questo inaspettato compagno di cui non so nulla, ma che come regalo finale mi porta con se in città. Tento di dare anche un cambio, ma lo stesso ragazzo con un gesto della mano mi riporta dietro di se guardando le mie borse, come a dire: "ma stai dietro tranquillo...". Mi chiedono da dove arrivo e cominciamo a parlare un pò dei nostri passi alpini preferiti e dei giri in programma per questa estate.
Città. Vialoni e ciclabili stupende anche se sono ancora a 8km dal centro vero e proprio.
Saluto i ragazzi e mi dirigo verso il mare, voglio godermi Barceloneta e le sue spiagge, voglio vedere il mare che non vedo dalla Camargue. Il vento sferza sulle passeggiate colorate del lungomare, mi arriva sulle gambe della sabbia portata da raffiche ancora importanti. Mi divincolo nel traffico e poco dopo la mia bici scorre fluida e silenziosa verso il centro della rotonda, dove svetta Colombo che punta la mano verso Ovest. Mi fermo, schiaccio STOP sul Garmin, sgranchisco la schiena guardando in alto verso la colonna e respiro a fondo.
Sono le 15.30 e c'è una luce bellissima.
Sono a Barcellona, ci sono arrivato da solo, in bici.
1010 Km, 4 giorni e mezzo, 6300mt di dislivello, 29.5 di media in 35 ore effettive.
Mille chilometri in cui sono cresciuto e cambiato. Mille chilometri che non basta un blog per descriverli, che non basta un video e qualche foto per spiegarli, che non bastano le parole per condividerli. Bisogna viverli tutti, uno per uno, uno dopo l'altro.
Grande impresa ma soprattutto raccontata benissimo ci hai trasmesso le tue emozioni e la tua fatica, sembra di essere lì con te.
RispondiEliminaBRAVO BRAVO BRAVO